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Dai racconti ... ai romanzi di formazione ... ai romanzi corali

L’arcano sogno del dialogo

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PAGINE SPARSE
ALBA E MUSICA

Sdraiato a letto non riesce a concentrarsi, rilegge le ultime dieci righe per l’ennesima volta, desiste, appoggia il libro, che va ad aggiungersi agli altri aperti sul comodino.

Si sveglia prima lui del cellulare, con i dovuti modi cerca di chiedere alla compagna se vuole davvero tener fede a quanto stabilito di comune accordo la sera prima. Solo dopo essere riuscito a strapparle una mezza conferma, va in cucina. Mentre aspetta di sentire il brontolio della caffettiera esce sul balcone. Fuori è ancora notte, buio pesto, tranne qualche fioco pigolio che proviene dagli alberi del giardinetto del condominio, non si sente altro, anche la città dorme sodo.

Il caffè ha il potere di svegliare anche la sua compagna.

Dal cancelletto che immette sulla via si incamminano a passo deciso, lei lo precede di qualche metro, lui si attarda, si guarda in giro. Via Amedeo appare deserta, tristemente illuminata, anche qui non si sentono rumori, nemmeno quello del traffico perenne della tangenziale, in lontananza.

Il cinguettio degli uccelli sembra aumentare d’intensità ad ogni passo, il semaforo in fondo alla via lampeggia, per prudenza si fermano, dalla traversa, dai grandi filari di alberi che la popolano, il clamore s’intensifica.

- Senti che casino fanno! Chissà cosa sono.

- Sono merli! Ce ne sono dappertutto, ho visto di recente anche delle gazze, sono nere con una parte del piumaggio bianco, molto belle.

- Ah sì! Ne ho viste anch’io due, stanno facendo un nido in cima al pino che abbiamo sotto di noi, nel giardinetto del condominio.

Hanno imboccato la via che porta a piazza Guardi, fatti pochi metri si gustano il primo segno di vita, il profumo di pane fresco.

All’angolo, la bottega del fornaio ha le finestre aperte, oltre alla luce, al profumo, escono voci, l’accenno di un brano evoca un amore, il sole napoletano.

- Anche se si sono svegliati presto, sono allegri! - lei ride.

Attraversano la piazza, passano in mezzo al parco striminzito , alle misere panchine per i vecchi, ai soliti giochi per bambini, al recinto per i bisogni dei cani.

Oltre la piazza, l’odore di pane fresco è sostituito da quello di pesce, residuo del mercato del venerdì.

Il canto degli uccelli continua ad accompagnarli, avvertono il rumore solitario di un’auto, la prima, sta passando in Viale Argonne, non lontano. Poco prima di Piazzale Susa, all’improvviso si alzano delle grida, provengono da due finestre aperte, illuminate, al primo piano di un palazzo, dall’altra parte della strada. La voce è di donna, il tono, il contenuto, forti, disperati, urlano la sua rabbia, tra le grida qualcuno parla, le urla divengono pianto angosciato. Loro si guardano, si interrogano, testimoni inopportuni, frammenti di vita che emergono con violenza dal silenzio, dal cinguettio.

Come per voler scappare, accelerano d’impulso il passo, in piazzale Susa lui si accosta alla compagna, le prende la mano, si fermano così di fianco al semaforo che lampeggia a nessuno, il lungo viale è deserto.

Dalle panchine, dietro l’edicola della piazza, arrivano voci, intravedono un gruppo di persone, devono essere dei senzatetto, stanno discutendo tra di loro. Uno è sdraiato, di fianco è seduta una donna, un vecchio sgualcito, una pancia enorme, una barba lunga, grigia, in piedi, di fronte, li sta arringando. Alza il tono, agita le braccia, sta spiegando qualcosa di molto importante. Gli altri seguono attenti, nello spiazzo ci sono tanti alberi, ospitano i molti cantori, nessuno di loro sembra far caso al cinguettio divenuto assordante,

All’angolo di Corso Plebisciti, chiuso alle macchine per i lavori della metropolitana blu, c’è una grande scritta, avvisa che il supermercato è aperto, ventiquattro ore su ventiquattro, tutti i giorni della settimana.

È vero, si vede, è tutto illuminato, non sembra però esserci traccia di clienti, sfiorando la compagna per superarla, le fa segno.

- Guarda, sta albeggiando, la luce è cambiata, il cielo si sta schiarendo, tra non molto fa giorno, non c’è in giro ancora anima viva!

- Tieni conto che è sabato, la maggior parte della gente non lavora.

Quasi a contraddirli, hanno un sussulto quando, da una via laterale, silenzioso, all’improvviso sbuca un uomo che si dirige a passi svelti verso di loro. In quel deserto, lui si sente in dovere di bisbigliare timidamente

- Buon giorno!

L’altro, uno dei tanti cinesi che vivono in città, dopo averlo guardato un po’ stupito, accenna un sorriso, risponde qualcosa che lui non capisce, passa oltre senza rallentare il passo. In Piazzale Dateo c’è uno dei tanti chiostri di bevande, panini che animano le notti dei tanti insonni che bazzicano in città. È tutto illuminato, il barista si muove dietro il banco, di fronte un vecchio è seduto su uno scranno, entrambi si girano per guardarli passare.

Sono in ritardo, al semaforo di Piazza Risorgimento, che lampeggia, si fermano, passano due auto, le prime che incontrano.

Davanti alla grande mensa dei poveri di S. Francesco, in fondo a Corso Concordia, non c’è anima viva, di solito in quello spiazzo sostano tutto il giorno gruppetti di senzatetto, all’ora dei pasti formano lunghe, variopinte file, ora tutto è deserto, solo un paio d’inservienti stanno lavando i muri intorno all’edificio.

In piazza San Babila, la luce ha quasi vinto la sua battaglia, i semafori hanno preso a funzionare, il pigolio è diminuito, con la luce del giorno i pennuti hanno cominciato a volare.

Nella fontana un signore a piedi nudi, con i calzoni arrotolati fino alle ginocchia, la schiena curva, con estrema attenzione sta dragando il fondo, cerca, si volta a guardarli, ha l’aria delusa.

Lui si ferma, sembra intuire una richiesta, mentre lei senza tentennamenti imbocca Corso di re Vittorio, si avvicina, il cercatore lo guarda, lui abbozza un cenno d’intesa, cava dai jeans un euro, lo getta in acqua, con un gesto della mano lo saluta.

- La tua buona azione quotidiana!

Si sente dire, ci rimane male, si sente un po’ stronzo, il gesto non è stato dei più eleganti.

Sembra incredibile, sul vialone non c’è nessuno.

Sono quasi le cinque, tutte le vetrine sono accese, i manichini di tutte le forme, grandezze, colori, nudi, vestiti, sono dentro muti, in attesa. Dal fondo si vede il sole che illumina la madonnina, più giù parti delle guglie, molte delle quali sono ingabbiate per i restauri. Nella piazza il sole non è ancora arrivato, davanti alla galleria sono ferme una macchina della polizia e una camionetta dell’esercito, si vedono i militari dentro, tirano dritto.

Percorsa via Dante, davanti al fontanone del Castello, scoprono che l’ingresso principale è chiuso, non possono passare di là per accedere al Parco.

Senza un attimo di esitazione girano intorno sulla sinistra, quasi correndo, arrivano a un cancello, questo è aperto. Incrociano una ragazza che proviene da via Cadorna, un cenno, entrano, si guardano in giro, non servono parole, anche lei sta cercando. Fatti pochi passi sullo sterrato del Parco, si sentono dei clamori, tutti e tre si girano per vedere.

- Sono quelli che escono dal night della via che costeggia il Parco! - spiega la ragazza.

Accelerano il passo, sul piazzale sul retro del Castello, la vista trapassa in linea retta tutto il parco, oltre il laghetto il palcoscenico in cemento è attorniato da tanta gente, sullo sfondo l’Arco della Pace.

Il silenzio è assoluto, la sensazione è che sta per succedere qualcosa, rimangono fermi, in attesa.

Prima piano, lontano, poi sempre più forte, portate nitide dall’aria, giungono le note: il concerto è cominciato.

Si avviano lesti, gli occhi, le orecchie bene aperte, per non fare rumore o disturbare escono dalla stradina di ghiaia, attraversano il campo erboso, s’inzuppano le scarpe di rugiada, sono di pezza, non tardano a sentirsi bagnati i piedi, poco male, si asciugheranno.

Sono sotto il palco del teatro Burri, lei svelta individua in un angolo un blocco di cemento, d’intesa lo occupano schiena contro schiena, si possono così rilassare, concentrandosi.

Il teatro è molto semplice, proprio per questo bello. Il pianista è curvo sulla tastiera dell’immenso piano a coda, quasi senza muovere le mani, ne trae note che si spandono nel parco, staccate l’una dall’altra, alte, nitide, tanto silenzio nel mezzo, a fare immaginare cosa può esserci tra di loro. Poi le mischia, crea improvvise accelerazioni, le mani che danzano sulla tastiera, un andare, un tornare, proprio come le onde del mare. Mentre la testa rincorre quell’ondulare, gli occhi vagano sui grandi alberi che circondano il palco, seguono la brezza mattutina che accarezza i rami.

Il sole è sorto da un pezzo, anche se da lì ancora non si vede, la luce ha spazzato del tutto il buio, ora sta assorbendo anche la tenue falce di luna che s’intravede, sempre più pallida, in lontananza, dietro la torre del castello.

Nel mentre, in religioso silenzio, la gente continua ad arrivare. Molti hanno coperte che adagiano sul prato, c’è chi si è portato il sacco a pelo, dopo essersi infilato, chiude gli occhi, cullato dalle armonia delle note.

Tanti fanno foto, i più con il cellulare, gli esperti con la reflex, i professionisti con enormi cannoni appoggiati a snelli cavalletti, la luce è propizia.

Una vecchia signora, distinta, ben vestita, seguita da una giovane ragazza, forse una nipote, avanza sul prato, piano, circospetta. Non è preoccupata per la rugiada che le sta bagnando le scarpe, lucide, tacco alto a spillo, quanto di dover tenere a freno i due cani che ha al guinzaglio. Belli, manto rossiccio scuro, una madre col cucciolotto. Lei, attenta, guarda di continuo la padrona, sembra intuirne la volontà, lo sguardo intelligente, curioso, misurato, ha capito che quel luogo è particolare, forse è abituata a sentire musica. Il piccolo è distratto da tutto, è agitato, forse vorrebbe solo correre per il prato, si guarda in giro, vedendo un altro cane dall’altra parte del prato, all’improvviso si mette ad abbaiare. La ragazza fa un balzo, gli afferra la testa, la bocca, la chiude, lui, poverino, non capisce perché, come mai tutti lo guardano, anche sua madre ha uno sguardo severo.

L’artista non si concede un attimo di sosta, procede imperterrito, quando finito un pezzo la gente applaude, lui si schermisce, si gira a guardare il pubblico, prima di attaccare una nuova melodia.

Per oltre un’ora li delizia, poi si alza, s’inchina agli spettatori per rispondere ai fragorosi applausi, poi s’incammina, gli applausi aumentano, si ferma incerto, ritorna rassegnato verso il pianoforte, concede un ultimo pezzo. Alla fine si alza, allarga le braccia, la gente ha un momento di stasi quasi a voler prolungare quegli attimi, gli ultimi applausi, le ultime foto.

Non è facile trovare un bar aperto, la città continua a dormire, poche macchine, i rari mezzi di trasporto sembrano anch’essi appena svegliati, si muovono pigri, semivuoti, fuori dai negozi qualcuno comincia a spazzare il marciapiede.

Il sole, oramai alto, illumina solo una parte delle vie, lasciandone in ombra altre, loro, come lucertole sui muri, camminano senza una meta, dove il sole batte già, fermandosi per sentirlo sul viso, sperando di vedere un bar aperto. La voglia di caffè e brioche aumenta ad ogni passo, sbucati in Piazza Duomo la vedono ancora vuota, sono colti da sconforto. Ci sono solo i tutori dell’ordine, ora sono scesi, stanno fumando, chiacchierando, qualche passante cammina svelto lungo i portici di fronte alla galleria, sulla piazza sono arrivati gruppi di piccioni che girano qua e là, in cerca di qualche chicco di granoturco dimenticato dal giorno prima, della gente, dei turisti, dei negozi, del caffè, nessuna traccia.

Il sole illumina gli edifici di fronte al Duomo, all’altezza del gruppo di palme, si incamminano lungo il marciapiede.

Fatti pochi passi, proprio a metà piazza, s’imbattono nel Gran Café, cosa inaspettata, più che gradita, è aperto. Di fronte bellissimi tavolini, sgargianti tovaglie giallo carico, poltroncine con comodi cuscinetti invitano a sedersi al sole. Non hanno esitazioni, non pensano alle possibili implicazioni, non c’è nessuno, gambe allungate, rilassate, il sole, la facciata del Duomo negli occhi.

Dopo solo pochi attimi un cameriere, in livrea, si materializza, si inchina, con bella voce, soave, adatta all’ora, al luogo, sussurra.

- Buon giorno Signori! Cosa posso servire?

- No! Neanche tanto! Devi tener conto del luogo, della qualità del servizio, del fatto che abbiamo avuto Piazza del Duomo, esclusivamente per noi, per lungo tempo.

Non rivela la cifra, lei non insiste per conoscerla.

La produzione letteraria di Camillo Rigamonti

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