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L’arcano sogno del dialogo

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ABBOZZI DEL TEMPO
LA CHIESA

La piazza e la chiesa che le da il nome sono il centro del paese, un palcoscenico dove scorre la vita, dove tutti sono costretti a recitare un ruolo, nessuno può sottrarsi.

Lo spazio è ridotto, un legame indissolubile tra la casa di Dio e quella del suo popolo, i suoi fedeli. La chiesa, il campanile sono di mattoni rossi, le pietre angolari, i sostegni delle volte che disegnano le finestre di granito grigio chiaro. La struttura dal corpo centrale alto, dalle ali laterali basse, dall’impianto basilicale antico, forma che ricorda il romanico. Una gradinata, che inizia dall’angolo di sinistra fino a metà della parete laterale, conduce all’entrata delle donne. Dal lato opposto entrano gli uomini, pochi gradini portano a una terrazza, ampia, quadrata, il parapetto di cemento si affaccia sulla fontanella dove fa angolo la strada. A metà parete si apre l’ingresso alla chiesa, di fianco l’entrata della sacrestia, alla base del campanile.

Da sempre, in ogni stagione, giocano i bambini.

Un gioco semplice, i quattro cantoni.

Ogni angolo è occupato da un bambino, nel mezzo un quinto ha il compito di provare a rubare un angolo. Quando un angolo si libera perché chi lo occupa prova a scambiarlo con un altro, non si può stare fermi e chi lo fa a giudizio unanime è messo in mezzo. Lo schiamazzo è alto, i bambini corrono, si spingono, si accapigliano.

Sulla porta della sacrestia appare Don Giuseppe, piccolo, magro, lo sguardo fosco, arrabbiato, lo abbiamo disturbato mentre si sta preparando per il rito mariano. Semivestito dei paramenti, ci guarda torvo, impreca, non usa tuttavia termini volgari, solo quelli ammessi dal suo magistero, (furfanti, farabutti, disgraziati).

Ci blocchiamo, abbassiamo lo sguardo contriti, nascondiamo a fatica il riso imminente. Lui si è sfogato, ha minacciato, si ritira, non può rischiare un ritardo, le donne dai neri veli da tempo occupano le panche, già pregano in silenzio.

Noi riprendiamo a giocare.

Alla porta centrale si accede da una scalinata di granito.

Il portone, di legno marrone scuro suddiviso in grandi riquadri, immette nella navata centrale. Sopra l’architrave, in una nicchia ad arco, un malandato affresco raffigura una bella Madonna attorniata da angeli. Due lunghe finestre di vetri colorati sormontate da una semplice volta si aprono ai lati della facciata. Sotto la cuspide del tetto si apre una trifora, al vertice una base di granito regge una semplice croce di ferro.

Per i ragazzi, le scale di granito, nel mezzo della piazza, diventano una pista su cui far correre le macchinine, tappi di latta delle bottiglie che chiamano zecche, come fossero biglie. Le regole sono quelle delle piste costruite con la sabbia, sulle spiagge.

I gradini sono usati come rialzo, rifugio sicuro nel gioco del rincorrersi.

La navata centrale delimita il corpo principale, snelle colonnine di granito, ampie arcate reggono le pareti laterali che sostengono le capriate di legno del tetto. Non c’è un vero e proprio transetto, l’altare centrale si alza di un solo gradino rispetto al pavimento della chiesa, realizzato in cotto a spina di pesce. L’altare è semplice, posto sulla linea orizzontale dell’abside, ha un tabernacolo che sorregge una statua della madonna con in testa una corona di stelle. Sulla parete tonda dell’abside si aprono due finestre con vetri colorati che inondano di luce il retro dell’altare. La volta ha colori accesi, figure di un realismo toccante: in basso, quattro pecorelle per lato si avvicinano a zanne d’avorio senza punta, circoscritte da un arcobaleno che sporge, da una sorgente l’acqua si distribuisce fino a lambire le zampe delle pecore.

Nella parte alta della volta sono dipinti un agnello circondato da due evangelisti.

Sopra la volta una grande Vergine allarga le braccia e la veste ad accogliere un crocefisso di legno, un Cristo di avorio. Ai lati della madonna, figure inginocchiate rendono omaggio. Sotto la cuspide un motivo decorativo racchiude angeli che reggono una composizione floreale.

Durante le cerimonie tutte quelle figure gli riempiono gli occhi, ne è attratto.

Si distrae, vaga con la mente, quello che rappresentano sembra chiaro, tuttavia c’è qualcosa che non riesce a spiegare, che nasconde qualche mistero. Le zanne senza punta sono rocce? La testa dell’agnello sembra strana.

Le navate laterali finiscono con due altari, con piccole absidi, quello di sinistra è dedicato alla Madonna Regina pacis.

Tutte le sere di Maggio il parroco, davanti a questo altare, guida la recita in latino del rosario, eleva al cielo l’Ave Maria, i fedeli rispondono.

Roberto ha in mano l’incensiere, ha il compito di profumare tutto e tutti, si è distratto. Non lo dondola più a spargere nuvolette, sta fermo, guarda, sorride alle ragazze delle prime file. La bianca tonaca è ferma sopra le braci dell’incensiere. Oltre alla fragranza d’incenso si comincia a diffondere puzza di bruciato. Ne nasce un gran trambusto, Don Giuseppe rimbrotta Roberto, ul Secrista accorre con la bacinella dell’acqua santa, per noi ragazzi un intermezzo divertente, nella monotonia del rito c’è la possibilità di sghignazzare.

L’altare di destra è consacrato a San Clemente, patrono del paese, a cui è stata dedicata la chiesa.

Le volte centrali sorrette dalle piccole colonne di granito sono dipinte con motivi decorativi geometrici, floreali, colori vivaci le coprono per intero. Gli stessi motivi abbelliscono gli incavi di tutte le finestre laterali, delle facciate e delle absidi. Sulla parete sopra le volte, in alto, su entrambi i lati, per tutta la lunghezza della chiesa grandi cornici contengono ritratti di santi, martiri, personaggi evangelici, alternati a variegati motivi floreali. Hanno espressioni rapite, occhi al cielo, barbe lunghe, mani giunte, frecce in corpo.

Lungo le pareti laterali in alto, in modo che occorre alzare il viso per poterle vedere, sono appese le tavole della Via Crucis, sette per parete.

Una cornice di legno, la parte superiore decorata da una piccola croce, racchiude un dipinto che illustra le fasi del cammino che Cristo dovette affrontare per andare a morire.

La Quaresima, per i ragazzi, vuol dire il rito della Via Crucis.

Una bella scusa per trovarsi a giocare in piazza, all’imbrunire, quando la primavera regala il suo miracolo. Poter lasciare i compiti, vivere le sere che si allungano può ben valere una Via Crucis quotidiana.

Don Giuseppe indossa paramenti spogli, disadorni, viola.

Tiene in mano il suo libriccino dalla copertina di pelle nera, si porta sotto la prima delle quattordici tavole. Un chierichetto regge una grande, semplice croce di legno nero cui è appeso un drappo bianco, metafora del corpo di Cristo crocifisso, l’altro dondola l’incensiere. A pochi passi ul Secrista è attento a intervenire alla bisogna.

Il Parroco tiene la testa bassa, inizia a recitare:

- Nella prima stazione si contempla Gesù che viene condotto…

In piedi, tra le panche, gli astanti vanno con gli occhi a scrutare il dipinto che raffigura quanto Don Giuseppe sta dicendo.

Le figure di soldati che attorniano Gesù con il manto rosso, l’elmo in testa, possenti cavalli, Cristo spogliato, la corona di spine sul capo, la grande croce sulle spalle. Le figure piangenti che lo seguono nel calvario, le tre croci allineate sul Golgota, il monte del sacrificio. Immagini, visioni che s’imprimono nelle menti come luce sulla pellicola.

Alla recita seguono preghiere cui i fedeli si uniscono nelle risposte.

Una breve litania cantata conclude l’adorazione della tavola, si passa alla stazione successiva, così la rappresentazione della passione di Cristo.

La casa di Dio è sobria, l’assenza dei marmi, dell’oro, dell’argento, di ricche suppellettili l’avvicina alle povere case del suo popolo.

I paesani dicono con orgoglio, una piccola targa lo testimonia, che la chiesa è stata dipinta da una ricca, colta signora, che ha realizzato quei meravigliosi affreschi senza ricompensa. È certo però che, oltre alla perpetua riconoscenza del popolo, lei abbia ricevuto quella ben più importante del Padrone di casa.

La sacrestia non è molto grande.

A destra dell’entrata è sistemato un confessionale, riservato agli uomini, una sedia per il confessore, un inginocchiatoio per il peccatore, a portata di vista, di mano.

La parete è occupata da un armadio di legno scuro che racchiude i paramenti dei riti liturgici, alla base una serie di cassetti, sopra un ampio piano di appoggio. Nella parete di fronte si apre l’ampia porta che immette in chiesa, in quella di fondo la porta che conduce sotto il campanile. Lo spazio della torre campanaria è ristretto, occupato dalle grosse corde che scendono dal cielo, dalla minuta scala che sale fino allo stanzino dell’orologio, ancora più su, fino alla campana.

Pur di averli come clienti, il parroco tollera che taluni fedeli possano assistere alla messa della domenica dalla sacrestia; di fianco al confessionale sono accatastate parecchie sedie, una mossa strategica, un tacito compromesso.

Non c’è un’unica categoria di uomini che frequentano la sacrestia e non la chiesa: i vecchi, quelli che hanno solo appoggiato le carte sui tavoli del circolino lì davanti, dall’altra parte della strada, i ritardatari cronici che arrivano a metà messa e non vogliono essere additati, giudicati, i miscredenti, già conosciuti in paese come qualunquisti, socialisti, comunisti, mangiapreti, quelli che il sabato sera hanno fatto bisboccia, che non hanno sentito il richiamo delle madri, delle mogli, della campana.

Nella chiesetta la gente ha la facoltà di accostarsi a solo due dei sette Sacramenti previsti dalla Santa Romana Chiesa; la confessione e la Santa Comunione.

Per essere battezzati, ricevere la cresima, unirsi in matrimonio, presentarsi a Dio sdraiati in una bara, bisogna rivolgersi alla Parrocchia, al Prevosto, alla chiesa di Besana, dove queste cerimonie sono organizzate e giustamente remunerate. Solo qualcuno ottiene di potersi sposare nella chiesetta, non certo i semplici contadini.

L’Estrema Unzione è impartita dove e quando Dia ha deciso.

La produzione letteraria di Camillo Rigamonti

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