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L’arcano sogno del dialogo

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PAGINE SPARSE
SPIAGGIA IN CITTÀ

Il programma, per questo venerdì pomeriggio, prevede un film d’essai al Palestrina.

La mia compagna non se la sente proprio di rinchiudersi in una sala da cinema, la proposta che mi fa è anche più allettante: il giro dell’Idroscalo. Sono i nostri soliti sei chilometri di camminata veloce, niente di più, ma il contatto con un po’ di natura, anche se di città, ci farà sentire entrambi meglio.

A dire il vero l’ora per il giro dell’Idroscalo è piuttosto insolita: sono già le cinque di sera quando arriviamo al cancello, mentre normalmente facciamo questa camminata verso le otto, nove del mattino, prima di fare colazione.

Inizia l’imbrunire, sul percorso che circonda l’idroscalo non c’è quasi nessuno: solo pochi accaniti sportivi che, con la tenacia che li contraddistingue, continuano a girare correndo.

Il “mare di Milano” è solcato dalle ultime canoe che lasciano dietro di sé triangoli di minuscole onde, le quali, allargandosi sempre più, arrivavano a morire fin quasi sulla riva. Alcuni barcaioli remano stando in piedi su delle piatte, lunghe tavole e le loro figure si stagliava all’imbrunire come fossero ombre cinesi intente a risalire la corrente di un fiume.

A piccoli gruppi, le anatre, dondolando come sanno fare solo loro, senza fretta lasciano la sponda dove hanno passato il pomeriggio, aspettando che il sole cominci a tramontare.

Ora stanno attraversando il mare, spostandosi verso la riva opposta. Si ritirano per la notte, all’asciutto sulla sponda, sul prato adiacente. Loro sanno che è da quella riva del mare che il mattino dopo vedranno ritornare il sole, quando si alza all’orizzonte. Le osservo mentre attraversano la strada, girano solo di poco la testa a guardarci, non accelerano il passo, sembrano rimarcare di essere loro le padrone del posto.

Un leprotto ha attraversato la strada per andare a nascondersi in un cespuglio che per un tratto la costeggia.

Troppo curioso, però, si è girato e sotto le basse foglie si vede il suo buffo muso sempre in movimento, come se stesse sempre rosicchiando qualcosa; ci sta guardando passare come se si aspettasse qualcosa, forse una carota. Mi avvicino, voglio vedere cosa fa, ma fatti pochi passi il muso sparisce dentro il cespuglio.

Giunti alla punta estrema del mare, quella opposta a dove siamo entrati, ci fermiamo.

Spesso da quella posizione si vedono le montagne della Brianza, che si innalzano sullo sfondo dove finisce il mare. Questa sera, però, c’è qualcosa che attrae la mia attenzione. Spostandomi oltre la punta, riprendo il cammino sulla riva opposta a quella appena percorsa; verso sinistra si intravede un chiarore strano.

Appena superati gli alberi che costeggiano la via, volgo lo sguardo e rimango sbalordito dallo spettacolo che mi trovo ad ammirare: un cielo vorticoso tinto di colori pastosi, rosso, grigio, bianco, scuro e poi anche giallo, arancione. È un orizzonte dipinto, illuminato a sprazzi dai raggi del sole, che lo trasfigura senza sosta e rimanda ai nostri occhi immagini apocalittiche.

Non riusciamo a smettere di guardare.

Per un tempo infinito, forse anche più di una mezz’ora, il cielo continua a trasformarsi assumendo forme, chiarori, colorazioni sempre diversi.

Un aereo argento, appena decollato da Linate, taglia improvvisamente l’orizzonte con la sua forma sottile, stilizzata e contrasta con disegno fantastico delle nuvole in cielo. L’immagine sembra spezzare l’atmosfera un po’ fatata che abbiamo vissuto, riportandoci alla realtà del nostro giro, che abbiamo percorso solo per metà. La mia compagna, prima di riprendere a camminare, si attarda a scattare qualche foto.

Il percorso ora attraversa il parco che lei definisce “delle sculture”.

Sulla destra c’è un bosco di pini, dove mi addentro per camminare nell’erba tra gli alberi. Lei invece si avvia lungo la strada, dove, quasi sulla riva del mare, è stata collocata una serie di sculture contemporanee che ha imparato a riconoscere e amare dopo che ci è passata accanto tante volte. A un primo sguardo possono sembrare strane, ma guardandole con più attenzione si capisce che ciascuna di esse porta in sé tutti i significati dell’autore e che anche l’osservatore, se lo vuole, può cimentarsi nell’attribuire loro i propri significati. Lei ci passa vicino, le osserva una a una, passa il dito sulla rugosa groppa di un cavallo di bronzo stilizzato.

Così facendo, arriva in un punto del percorso dove, da poco, si sono inventati un’area di giochi per bambini e di piattaforme per ballare per i loro genitori.

Lei si avvicina a una piattaforma da cui parte un aggeggio agganciato a un lungo filo, che dopo decine di metri di corsa arriva quasi sul bordo del mare. A fatica si mette l’asta tra le gambe, si lancia giù gettando un grido. Da sotto i pini del bosco la guardo quando va a sbattere con violenza contro il palo di fine corsa. Mentre ride divertita mi fa segno di avvicinarsi, di provare anch’io. Mi avvio un po’ indeciso, poi mi diverto, in giro non c’è nessuno che ci possa rimproverare di voler tornare bambini.

Sulla curva, poco prima dell’area adibita agli edifici universitari di canottaggio, dove finisce il bosco di pini, c’è un piccolo parco di piante donate da parenti e amici in ricordo di un proprio caro deceduto.

Anche lì la mia compagna ama soffermarsi a leggere le dediche, veri e propri epitaffi, altre volte poche righe concise. So le gli piacerebbe avere una pianta dedicata quando sarà il suo tempo.

Verso il termine del giro ci dividiamo, io faccio il giro interno, lei prosegue lungo la sponda, dove l’attende una delle ultime sculture.

È “un uomo pensante” in bronzo di Manzù; guarda l’acqua accucciato mentre con una mano si regge il mento. Lei dice che le ricorda Cartesio, “cogito ergo sum”, e si chiede se sia ancora lecito di questi tempi trastullarsi con pensieri filosofici o se, al contrario, sia giunto il momento di fermarci per pensare all’umanità.

La vedo raggiungermi mentre la sto aspettando da qualche minuto al cancello.

All’improvviso le viene voglia di condividere lo spettacolo di quella sera anche con i figli. Prende ad armeggiare con il telefonino, trasmette una delle foto appena scattate al gruppo di famiglia, con didascalia “Fuoco all’Idroscalo”.

Non facciamo a tempo a uscire dal cancello che arrivano i riscontri:

- Whauuuu!!!-

- Fico!!! -.

La produzione letteraria di Camillo Rigamonti

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